La morfologia del territorio condiziona lo sviluppo urbanistico di Siena

Nel saggio “Dei recenti studi geologici e paleontologici sul territorio senese” del 1894, il Simonelli scriveva: ” Le condizioni preparate dagli avvenimenti geologici sono, per le società umane, determinatrici efficacissime di attitudini e vicende; e come si legano alla natura del suolo i progressi delle industrie e perfino le più alte manifestazioni del sentimento estetico, così, più di una volta, parte dal suolo la spinta fatale alle migrazioni, ai rivolgimenti sociali, ai conflitti dei popoli”. Come dire: la storia della civiltà è scritta per intero nella storia delle rocce.
E’ proprio partendo da queste considerazioni che ci accingiamo a indagare lo sviluppo urbanistico di Siena, la cui storia politica, economica e sociale è stata fin dall’antichità condizionata dalla sua posizione geografica. Nodo viario di estrema importanza a partire già dalla metà del VI secolo , la città fu però fortemente penalizzata dalla mancanza di risorse idriche, che ne limitò in maniera determinante le attività economiche.
“Aqua unum ex quattuor est elementis sine quibus viveve nullus potest”. La prosperità di una civiltà, di un popolo, è strettamente legata alla possibilità di attingere ad abbondanti riserve idriche. La Storia ce ne riporta molteplici esempi. Molte delle grandi città, italiane ed europee, come Firenze, Venezia, Parigi, hanno legato la loro fortuna all’acqua.
Siena, invece, data la geologia e la morfologia del suo territorio, non poteva godere di questo privilegio, denunciando, fin dalle origini, il suo “vizio di nascita“, cioè, “l’esser venuta al mondo un po’ come un incomodo“, costretta dunque a lottare sempre per garantirsi la propria ricchezza e la propria libertà.
Com’è allora che una così grave mancanza d’acqua, che impediva di dissetare adeguatamente i cittadini, irrigare i campi, far funzionare a dovere le industrie (per macinare il grano, lavorare il cuoio, la lana, etc…), non vietò a Siena di diventare una delle città più floride e importanti del Medioevo?
E’ proprio quanto con questo lavoro andiamo a mostrare, sottolineando che, se è vero che città come Firenze o Roma hanno legato la loro Storia ai fiumi che le attraversano, Siena invece ha vincolato la sua fama e la sua sorte a quella delle Fonti, mirabili esempi di architettura civile medievale, che ne decorano il tessuto urbano e che le hanno regalato, nel passato, l’appellativo di “Città delle Fonti“.
Come si è detto, dunque, la posizione dell’agglomerato urbano senese risulta distante da importanti corsi d’acqua. Lo stesso sbocco al mare è lontano un centinaio di chilometri. Situata a circa 320 m s.l.m. su tre alture, alle propaggini orientali delle Colline Metallifere, delimitata a Est dalla valle dell’Arbia e a Ovest dalla valle dell’Elsa, Siena si colloca su un alto morfologico prossimo alla linea di spartiacque che separa il bacino imbrifero dell’Ombrone da quello dell’Arno, passante appunto lungo l’allineamento Castellina in Chianti-Fontebecci-SanDalmazio-Monte Maggio. Certo, la posizione era ben difendibile dagli attacchi dei nemici e lontana da zone acquitrinose e malsane. Tuttavia i corsi d’acqua di una certa importanza (Merse, Elsa, Ombrone) sono piuttosto distanti e quelli che, invece, lambiscono la città (Arbia, Tressa, Staggia, Riluogo) hanno una portata ridotta o sono a regime torrentizio. L’acqua piovana che si infiltra nelle arenarie e nei conglomerati permeabili del senese può riemergere – infatti – o lungo i versanti, in corrispondenza di intercettamenti di piccole falde, o – più frequentemente – nel fondo delle valli. Qui, per motivi altimetrici, può essere intercettata più facilmente la falda principale, quella cioè ubicata in prossimità della superficie di contatto tra le arenarie e i conglomerati permeabili soprastanti e le argille impermeabili sottostanti. E’ proprio dall’indagine di questa tipologia di rocce che riusciamo a conoscere e capire la distribuzione spaziale delle sorgenti naturali presenti nella regione, consentendoci inoltre di prefigurarne lo scenario geologico e svelarne così l’origine marina.
Durante l’epoca pliocenica, circa tre milioni di anni fa, il paesaggio visto dall’alto dei rilievi del Chianti, sarebbe stato un braccio di mare, largo una trentina di km, estendersi verso Sud-Est per almeno 80 Km. Le zone emerse, a Nord-Est, erano rappresentate, oltre che dal Chianti stesso, dai rilievi che si estendono fra Monte San Savino e Amelia e a Sud-Ovest da una dorsale che, dalla Montagnola Senese, arrivava bel oltre il Monte Amiata. Una simile situazione fisiografica condizionò fortemente la costituzione del territorio, formando quel bacino marino che agì da formidabile zona di richiamo e accumulo dei sedimenti trasportati dai corsi d’acqua che scorrevano lungo i versanti meridionali del Chianti, scaricando i frammenti di rocce nel mare che incontravano immediatamente a Sud. A conforto di questa ipotesi sono stati rinvenuti nel sottosuolo senese grossi ciottoli di un’arenaria quarzoso-feldspatica, che poteva provenire solamente dai monti del Chianti, i quali – ancora oggi – costituiscono la sola zona di affioramento vicina. I fiumi che trasportavano i frammenti di roccia mano a mano che si avvicinavano al mare depositavano quelli più grossi (i ciottoli) e i medi (i granelli di sabbia) in prossimità della costa; quelli di piccole e piccolissime dimensioni (i limi e le argille), invece, erano abbandonati più a largo, dunque più a Sud (nella zona delle cosiddette Crete Senesi), in corrispondenza di un fondale di profondità variabile dai 50 ai 200 metri. Ampie testimonianze sono riscontrabili ad occhio nudo in varie zone del territorio senese, come per esempio, in Piazza S. Giovanni, la strada delle Grotte, Fontebranda, in cui affiorano banchi di conglomerati, che ci indicano l’esistenza di spiagge ciottolose, o, come appare nella zona di Pescaia, in cui si ha la presenza di arenarie, che denunciano condizioni di mare poco profondo. Più a Sud, verso Monteroni d’Arbia, Asciano, San Giovanni d’Asso, coerentemente con quanto detto, si registrano invece le argille, testimoni di un mare più profondo. Se non bastasse, non è raro accorgersi di fossili marini che affiorano nei tratti di roccia viva. E’ chiaro adesso quanto sia impropria l’espressione “mettere il tufo in piazza“, sentita spesso nei giorni della festa cittadina del Palio, durante la quale nell’anello dove corrono i cavalli viene posto uno strato di “arenarie”. Non già di tufo, dunque, si tratta, ma proprio del tipo di roccia più diffuso a Siena, le “arenarie” appunto, rocce di origine marina, cioè sabbie. Il tufo infatti è una roccia piroclastica, dovuta cioè all’accumulo di ceneri, lapilli e brandelli di lava espulsi da un vulcano, situazione riscontrabile nelle vicine aree laziali e in Campania, ma non a Siena. Del resto il termine “tufo” risale al latino arcaico “tofus”, divenuto “tufus” in connessione con l’etrusco “tupi”, da cui probabilmente nasce anche l’attuale forma plurale del toponimo “Tufi” (A. Fiorini, 1991, in Siena. Immagini, testimonianze e miti nei toponimi della città). Il vocabolo è in uso a Siena probabilmente dall’epoca romana e sicuramente da diverse centinaia di anni, come testimoniano i toponimi “Porta Tufi”, “Via dei Tufi”, riportati nelle più antiche carte della città. Una simile confusione può essere stata causata dalla somiglianza e dall’utilizzo delle rocce in questione. Infatti ad una osservazione superficiale le arenarie marine somigliano, seppur vagamente, a certi tufi laziali dello stesso colore. Inoltre, come questi – per lo meno le più compatte – erano estratte in blocchi ed utilizzate come pietre da costruzione, come si può notare per la Chiesa di S. Quirico, il Palazzo della Provincia, il Palazzo di S. Galgano. Così si spiega la causa dell’inveterato errore. Proprio con il progressivo ritiro del mare dalla regione si determinò la sovrapposizione dei corpi rocciosi nella tipica stratigrafia (dal basso verso l’alto) di argille, arenarie e conglomerati, i cui depositi – tuttavia – rimanevano influenzati dalle oscillazioni del livello marino, che, seppure per periodi relativamente brevi, tornò di nuovo ad invadere la terra ferma, alternando ambienti di laguna, di spiaggia, e di mare basso. Una simile descrizione della “formazione” del territorio senese non sarebbe completa se non considerassimo anche gli effetti deformativi dovuti a linee di frattura . Non sempre infatti è riscontrabile la successione stratigrafica descritta. Dopo l’accumulo dei sedimenti nel bacino marino, ormai pressoché prosciugato, il naturale livello delle rocce si disarticolò in corrispondenza di faglie dirette (causate da una distensione delle rocce), venendo a costituire corpi rocciosi, alcuni rialzati, altri ribassati, con spostamenti reciproci – in certi casi – anche di 30 metri. I successivi fenomeni erosivi, dovuti principalmente ad acqua e vento, contribuirono ulteriormente a raffigurare quel pezzo di territorio come costituito “da un continuo avvicendarsi di piccole elevazioni e depressioni di suolo così svariatamente disposte, da far prendere a quell’insieme, come ebbe a dire un naturalista per altra località, quasi l’aspetto di un mare burrascoso pietrificato” . Le profonde incisioni vallive che si insinuano fin dentro il centro abitato di Siena nacquero presumibilmente come piccole e blande zone di impluvio, in corrispondenza delle quali si incanalavano i primi rivoli di acqua piovana. Con il passare del tempo, l’asportazione di roccia esercitata dai corsi d’acqua – unitamente ad altri fenomeni di modellamento dei versanti – hanno determinato approfondimenti, allungamenti e ampliamenti delle valli, tutt’oggi riscontrabili all’interno delle mura cittadine. E’ proprio questo tipo di assetto geologico e morfologico il responsabile, nel bene e nel male, di tutte le vicende socio-economiche che interessarono Siena fin dalla costituzione del suo primo insediamento, innescando quella continua ” corsa all’acqua” che da sempre ha caratterizzato la storia di questa città, anche in tempi moderni

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