L’importanza di esempi etruschi

Una simile imponente opera non poteva prescindere dal corretto coordinamento di una fase di progettazione, realizzazione, uso, e manutenzione di un opera, che come già detto, svolse la sua funzione fino ai primi del Novecento, allorché non fu costruito il “moderno” Acquedotto del Vivo (1914-1919). Rimane comunque innegabile l’importanza degli esempi etruschi, tutt’oggi riscontrabili in molte zone dell’alto Lazio. La perizia degli ingegneri etruschi nell’individuare le vene d’acqua, nel captarle e nel canalizzare le acque di superficie si mostra con grande evidenza nella sistemazione e bonifica del territorio dell’Etruria. E’ noto come la fonte di sussistenza di queste zone, in età antica, oltre all’agricoltura, fosse lo sfruttamento dei giacimenti metalliferi e il loro conseguente commercio. E’ dunque da una serie di competenze ben sperimentate e dalla necessità di lavorare la terra che scaturì l’esigenza degli aquilices non solo di individuare falde freatiche e aprire pozzi, ma anche quella di avere competenze circa la conduzione dell’acqua in zone poco irrigate, oppure riguardo al drenaggio della terra in zone particolarmente umide, attingendo a quelle professionalità tecniche che li indussero a costruire una serie di cunicoli sotterranei scavati nel tufo, ben visibili in diverse località dell’Etruria e del Lazio. Gli studiosi sono ancora incerti circa l’effettivo utilizzo che di essi se ne faceva. C’è chi propende per l’idea che servissero esclusivamente per la bonifica agricola del territorio, per evitare ambienti eccessivamente acquitrinosi che favorissero lo sviluppo della malaria. Altri pensano che fossero sistemi di irrigazione dei campi, e fossero utilizzati per lo più per usi agrari. Oggi si propende a credere che questi cunicoli svolgessero come primaria la funzione di conduttura di acqua potabile e come secondaria quella di drenaggio, di captazione delle sorgenti perenni, di derivazione d’acqua da rivi o fiumi, forse per uso irriguo. Il Casoria individua una vasta gamma di utilizzazioni dei cunicoli che va da quella fondamentale del drenaggio dei terreni, a quella del trasporto di acqua per l’irrigazione, alla deviazione di corsi d’acqua nella realizzazione di importanti arterie (vedi in proposito T.W. Potter, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale, Roma, 1985: “si creano cunicoli per deviare corsi d’acqua e agevolare il passaggio delle valli”), allo scolo e alla raccolta di acque nei contesti urbani, alla “funzione di veri e propri acquedotti per fornire di acqua taluni insediamenti” . Ecco il punto, ecco il trait-d’union con i bottini senesi. La datazione di questi cunicoli etruschi è rapportabile al V secolo a.C., anche se l’inquadramento cronologico assoluto è difficile da stabilire, mancando elementi che possano legare queste costruzioni con lo sviluppo urbanistico di una particolare città. Alcuni studiosi anticipano il periodo anche tra l’VIII ed il V secolo, legando le opere di canalizzazione alla presenza di insediamenti stabili di una popolazione impegnata in una attività agricola.

Sebbene le prime comunità protourbane si affermino intorno al IX secolo a. C., la sofisticatezza delle opere di scavo sembra piuttosto riferibile ad un momento nel quale la comunità ha preso piena coscienza di sé ed ha disposizione mezzi e tecniche per procedere in un lavoro che dovette richiedere necessariamente la presenza di una struttura urbana ben organizzata. Questa situazione sarebbe riscontrabile nel IV secolo avanti Cristo. A favorire e quasi suggerire lo scavo dei canali sotterranei è stata certamente la natura del suolo, che non opponeva grandi resistenze. Forti sono le analogie con i bottini senesi. Non solo si costruiscono a metà di due strati geologici di cui uno permeabile (arenarie o tufo che sia), per l’infiltrazione dell’acqua, e uno impermeabile (argilla) che fungesse da collettore, determinando il limite inferiore che gli operai dovevano seguire nello scavo. Anche le caratteristiche delle dimensioni sono pressoché identiche: si presentano tutte a sezione ogivale di 1.70 m circa di altezza per 60 cm di larghezza. Le pareti interne recano tutt’oggi segni di lavorazione, il cui andamento arcuato suggerisce che lo strumento utilizzato sia stato usato in modo oscillante ed abbia avuto una lama piuttosto appuntita. Negli stessi tratti nei bottini senesi sono ben visibili questi segni, causati dagli strumenti dell’epoca, zapponi, picconi a una o due punte, pale, palette, ascioni. Nei terreni più duri si ricorreva anche a paletti di ferro, mazze, mazzapicchi da pietra e lunghi scalpelli, tali comunque da essere ben maneggevoli pur nelle limitate condizioni di spazio in cui ci si trovava. Nei territori dell’Etruria si trovano pozzi verticali che arrivano, in casi eccezionali, anche a 30 m di profondità, utili per arrivare a scavare il cunicolo. Sui lati lunghi si trovano delle nicchie identificate come punti di appoggio per la discesa, poste ad una distanza fra loro di 50 cm ca. Tali pozzi sono posti a 30-60 metri l’uno dall’altro. Anche qui si trova una sconcertante quanto evidente analogia con gli “smiragli” delle condotte senesi, ricalcandone anche la funzione, quale vie di uscite per il materiale di sterro, forse tirato fuori per mezzo di funi o passato a mano con dei cesti. Per quanto riguarda le strutture senesi è certo anche che i pozzi servissero come controllo “a vista” per verificare la giusta direzione di scavo e ridurre al minimo l’entità dell’errore (inevitabile). Come ci dimostrano alcuni disegni di Mariano di Iacopo detto il Taccola (1381-1458?), nel Trecento si pose grande attenzione nello studio della costruzione di queste gallerie per la canalizzazione delle acque.

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