Archivi categoria: 4. Bottini

L’origine etrusca dei bottini

Con i loro 25 Km snodati sotto terra, i bottini riuscivano a collegare e fornire d’acqua tutta la città, facendo sfociare zampilli in tutte le fonti pubbliche, orgoglio e vanto dei Senesi, e nelle centinaia di pozzi e cisterne privati. Un duro lavoro, durato più di due secoli, che è costato non solo ingenti somme di denaro, ma soprattutto fatica e, in qualche caso, la vita, di quanti, maestri, minatori specializzati, “vettuariali” o semplici cittadini presi “a giornata” credevano nella realizzazione di un sogno che per secoli ha alimentato le speranze di libertà e ricchezza della Repubblica senese. Un lavoro che ci ha restituito un patrimonio artistico di immenso valore, non solo per l’indubbio pregio architettonico, ma anche per la qualità tecnica della realizzazione, efficiente e ben funzionante, nelle sue prerogative originarie, fino agli inizi del Novecento. Esemplare perfino come monito a non scoraggiarsi alle prime difficoltà, perseguendo con costanza e fiducia i propri obbiettivi.
Dunque i bottini: gallerie sotterranee scavate nel tufo in direzione di vene sgorganti fuori dalle cinta murarie, ma soprattutto alla ricerca di acqua di stillicidio.

Immagine22Queste altro non erano che dei cunicoli con la caratteristica volta “a botte” (da cui il nome “bottini”) che grazie alla permeabilità del terreno in cui erano scavati (cioè porosissime sabbie arenarie), facevano filtrare l’acqua piovana, depurandola, per poi convogliarla in basso, in una scanalatura larga circa 15 cm e profonda 20 cm, chiamata “gorello”, da cui, per gravità, seguendo una pendenza pari a 1×1000 (un metro di dislivello per ogni chilometro), andava a sfociare nelle fonti pubbliche. Uno degli esempi più antichi, autonomo, scollegato dalla rete “primaria”, è quello, già ricordato, che porta acqua all’antica fonte di Fontanella, nei pressi di Castelvecchio. Ormai impreziosito dalle incrostazioni calcaree, che ne alimentano il fascino con i loro giochi di stallattiti, è di forma circolare e appare, caso unico, con la caratteristica volta a capanna, testimonianza di una probabilissima origine etrusca.

Come anche individuato dallo stesso Bargagli Petrucci i bottini senesi appaiano come “i figli legittimi dei sotterranei etruschi ampliati e rimodernati dal genio romano” . Inoltre l’erudito senese ipotizza in epoca romana la presenza di un acquedotto, non aereo, ma costituito da cunicoli che andavano a pescare le scarse acque di stillicidio, le quali comunque, già alla fine del IV secolo sembra essere ormai rovinato. Si ritiene dunque “ipotesi non fantasiosa” che i tratti più antichi pre-trecenteschi, dell’acquedotto abbiamo derivato il loro aspetto proprio da questi cunicoli etruschi con la volta a capanna. Di fatto quando si parlava di ” visionaria pazzia”, che aveva permesso di vedere una soluzione al problema incompleta, magari poco definita, eppure supportata da dei risultati inconfutabili” ci si riferiva proprio a quel tipo di esperienze etrusche in fatto di costruzioni idrauliche. Quello che le popolazioni italiche avevano fatto in dimensioni ridotte, i Senesi fecero, per così dire, in “larga scala”, adattando ad una realtà cittadina quello che in antichità era previsto per zone di ben più piccola grandezza. L’intuizione del popolo senese è l’aver concepito quella soluzione come trasportabile, pressoché in fotocopia, in una più vasta realtà, prevedendo un piano di coordinamento e organizzazione delle varie professionalità coinvolte nella realizzazione degno di una società moderna. Di fatto si sperimentò una sorta di “processo edilizio” ante litteram, che coinvolse tutto il tessuto civile cittadino.

I ‘bottini’ e il mito del fiume Diana

Abbiamo solo accennato ai “bottini”, di fatto ricoprendo l’argomento di un alone di mistero. Sebbene infatti il termine “boctinus” appaia per la prima volta in un documento del 1226, Siena ha cercato di mantenere nascosto il più a lungo possibile il suo segreto, la fonte stessa della sua ricchezza, sopportando anche gli sberleffi di alcuni “intellettuali” del tempo, come Dante, che ritenevano quantomeno “vana”, illusoria, l’ostinata ricerca di un adduzione d’acqua sotterranea. Di certo, qualunque nome le sia stato dato, Diana o quant’altro, i Senesi erano fermamente convinti che la soluzione ai loro problemi si potesse trovare solo nel sottosuolo, come probabile collettore di vene d’acqua. Del resto l’impresa disperata di deviare il corso del fiume Merse non parve praticabile nemmeno alle Autorità del tempo, ben consce delle insormontabili difficoltà del progetto. Per questo, fin dalle origini, profusero sforzi enormi per sondare il terreno alla ricerca di riserve idriche sfruttabili, affidandosi a dei “rabdomanti”, convinti del ritrovamento di un corso d’acqua sotterraneo. Un simile atteggiamento non deve apparire solo ostinazione improduttiva, cocciutaggine fine a stessa, o peggio “disperazione”. Crediamo di scorgere, invece, in questo comportamento una lungimirante, visionaria “pazzia”, che aveva permesso di vedere una soluzione al problema incompleta, magari poco definita, eppure supportata da dei risultati inconfutabili. Come in un gioco degli specchi tra apparenza e realtà, ragione e assurdo, saggezza e follia si andava delineando l’idea di uno degli esempi più affascinanti dell’ingegneria idraulica medievale. Del resto l’intuizione “visionaria”, quella capace di cogliere gli impescrutabili messaggi forniti dall’esperienza esterna, meglio, dall’esperienza altrui, viene sempre percepita al suo manifestarsi come priva di buon senso, addirittura assurda. E’ solo in un secondo tempo che si afferma, viene riconosciuta, poi accettata e persino propugnata da chi prima l’avversava. Mai come in questo caso Dante, il Sommo poeta, era stato così cattivo vate, sbeffeggiando il sogno dei Senesi di trovare il mitico corso d’acqua sotterraneo: che cos’altro dunque era la Diana se non i bottini?

dantediana

L’acqua, bene prezioso da tutelare

La conseguenza di tanto lavoro era una severa legislazione di controllo, affinché fosse garantito il corretto utilizzo dei bottini, e se ne regolasse efficacemente la manutenzione. Spesso accadeva che fossero i contadini stessi, sotto i cui terreni passava un bottino, a distruggerne i pozzi, perché non sopportavano di vedersi vietare la coltivazione e la concimazione delle colture, a causa delle famigerata “zona di rispetto” che dovevano tenere sempre sgombra e priva di piante, perché queste potevano con le loro radici danneggiare la volta del cunicolo sottostante. Né, potevano deviare il corso delle acque a proprio tornaconto, a fronte di pene severe. Guai inoltre a chi si fosse fatto trovare indebitamente dentro i bottini: sarebbe andato incontro a morte certa! Sarebbe stato infatti accusato di spionaggio e attentato alla Repubblica, la cui sopravvivenza politica ed economica era custodita proprio dai bottini, che ne garantivano il continuo flusso d’acqua. Del resto chi avesse potuto avere libero accesso nei cunicoli, sarebbe potuto entrare in città indisturbato adoperandoli come Cavallo di Troia. Non sono infrequenti infatti nella storia senese i tentativi dei nemici di scoprire la mappa precisa di queste gallerie sotterranee che avrebbe permesso l’accesso invisibile di truppe ostili nel cuore della cittadina da conquistare. E quando simili tentativi fallivano, ci si accaniva con alcuni tratti di bottino scoperti, la cui distruzione avrebbe impedito il regolare flusso delle acque in città e sfinito e costretto alla resa la popolazione. Del resto è quel che accadde, come ci racconta il Fantastici, durante l’assedio del 1553, quando i Fiorentini devastarono alcuni tratti scoperti dei bottini di Fonterutoli, a nord di Siena, togliendole inesorabilmente la linfa vitale che le permetteva di resistere all’assedio, constringendola alla capitolazione nel 1555. La storia ci racconta che il governo di Siena si ritirò esule a Montalcino, dove resistette tenacemente ancora quattro anni, perdendo definitivamente la libertà nel 1559. Ricordando le parole dell’illustre senese Bargagli Petrucci “Siena che aveva tanto fatto e tanto speso nel ‘200, nel ‘300 e nel ‘400 per la salute dei cittadini e per l’ornamento della città, si trovò nel ‘500 quasi con i soli bottini di Fonte Branda e di Fonte Gaia e anche questi mezzi rovinati e scarsi d’acqua. Il governo mediceo fece il resto e l’acqua si ridusse in quantità e peggiorò in qualità”.