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L’organizzazione del cantiere

L’organizzazione del cantiere per la costruzione di un bottino coinvolgeva ogni anno molte centinaia di operai fra manovali, maestri ed anche donne a cui si aggiungevano numerosissimi “vetturiali”, cioè coloro che trasportavano i materiali necessari ai lavori. Spesso i manovali venivano reclutati e pagati giorni per giorno, le donne probabilmente svolgevano, invece, i lavori di superficie, come la rimozione del materiale scavato. I “maestri”, depositari delle tecniche di scavo, erano gli unici operai specializzati del cantiere, denotando anche in questo la partecipazione dell’intero tessuto sociale per l’ottenimento di un bene essenziale come l’acqua. Del resto chi possedeva i “segreti” dell’arte dello scavo aveva ingaggi più duraturi dei manovali; in genere guadagnavano il doppio del salario degli operai, che, a loro volta, ricavevano una somma doppia, rispetto alle donne, con chiara discriminazione. Erano previste anche delle integrazioni al salario, consistenti in generi di conforto: pane, acqua ed in più “un quartuccio di vino per uno” che serviva, oltre a dissetare, soprattutto a corroborare gli uomini che lavoravano perennemente sotto terra e mai alla luce del sole, costringendoli a diventare praticamente ciechi, da cui la tradizione trasse il nome di “guerchi”, o “guerci”, indicando chi lavorava nel bottino sottoterra, in un atmosfera tenebrosa, che certo contribuì ad alimentare tutta quella serie di inquietudini e paure che portò all’interno dei cunicoli alla creazione di piccoli tabernacoli o nicchie dove appoggiare immagini sacre a cui chiedere protezione. Non è raro trovare incise nel tufo delle croci davanti a cui si pregava e si domandava aiuto. Si temeva la presenza di animali fantastici, quali, ad esempio, “il fuggisole”, mitico animaletto capace di avvelenare, o si credeva che abitassero in quei luoghi bui e misteriosi dei piccoli “hominicciuoli”, che vagavano nelle gallerie vestiti come minatori… I ritmi di lavoro erano massacranti: si andava dall’alba al tramonto, quasi ininterrottamente. Nel Medioevo, in genere, si proibiva, il lavoro notturno dato che vi era il rischio di incendi causati dalle torce che dovevano illuminare e certo non favorivano la respirazione in quelle gallerie anguste. Tuttavia accadeva anche che, per accelerare i tempi di realizzazione dell’opera, si permettesse in aperta campagna di lavorare anche di notte. Di fondamentale importanza era il ruolo dei vetturiali dai quali dipendeva l’approvvigionamento dei materiali. Questi facevano la spola fra il cantiere e le zone di rifornimento del materiale; trasportavano i mattoni dalle numerose fornaci, caricavano dalla Montagnola i correnti e le travi di legno che servivano per armare la volta e le pareti dello scavo. Infatti nel cantiere, privo di qualsiasi sicurezza, poteva accadere che si avessero delle frane o la volta cedesse se mal puntellata. Gli imprevisti erano sempre dietro l’angolo. Talvolta accadeva che qualcuno cadesse nei pozzi scavati per collegare i cunicoli con l’aria aperta. Le difficoltà del terreno richiedevano, qualche volta, competenze tecniche che gli operai generici non possedevano, costringendo il Comune a rivolgersi ai minatori delle miniere di Massa e di Montieri, e in casi eccezionali anche provenienti dalla Germania. Questi ovviamente godevano di un trattamento normativo ed economico privilegiato. Da qui un’altra interpretazione del termine “guerco”, suggerita dal Balestracci: deriverebbe da “werk” che in tedesco, appunto, significa “zappatore”. Il lavoro era – come si può ben immaginare – massacrante, dato che si usavano strumenti semplici e non era agevole lavorare in ambienti angusti e male illuminati.

Immagine24 L’unico strumento “tecnico” di cui ci si avvaleva era “archipendolo”, utilizzato per stabilire la corretta pendenza del canale di scorrimento dell’acqua. Consisteva in un attrezzo a forma di triangolo isoscele al cui vertice era fissato un filo a piombo che passava per il punto di mezzo della base quando era disposta in perfetta posizione orizzontale. Per tenere pulito il condotto ed evitare che detriti e “gruma” lo intasassero, si faceva ricorso a raschietti ad uncino, effettuando quell’operazione definita “sgrumatura”. Una volta scavato il cunicolo si doveva armare e consolidare, quindi dietro gli scavatori c’erano operai con strumenti da carpentiere per puntellarlo con delle travi e altri con strumenti da muratore per consolidare l’opera con calcina e mattoni, destinati alle spallette, alle volte, al pavimento, alle canalette.