Archivi categoria: 2. Lo sviluppo urbanistico senese

Le ‘orme’ della Città di Siena

Questo studio non intende raccontare le origini della città di Siena, rimandando per questo scopo a testi ben più qualificati di questo, come, ad esempio quello di L.Bortolotti , da cui, tra l’altro, vengono attinte molte notizie sulla nascita della città. Ci si prefigge piuttosto l’obiettivo di ripercorrerne le tappe essenziali, utili per guidarci in maniera documentata, attraverso quella “storia dell’Uomo”, che nasce dai bisogni naturali di sicurezza e libertà, che spesso risultano essere leve delle stesse vicende storiche.

Il bisogno di ripararsi e aggregarsi in comunità è da sempre stato una delle necessità primordiali del genere umano. I primi insediamenti erano spesso “collocati in luoghi di sommità per ragioni difensive ma soprattutto economiche, poiché la posizione elevata allontanava dalle zone acquitrinose, metteva a disposizione gli arativi di collina, ed avvicinava ai boschi e alle fonti d’acqua” . Per quanto detto sopra, le colline dove sorse Siena erano certamente ideali da un punto di vista strategico, tuttavia le riserve d’acqua erano appena sufficienti per una piccola comunità, il che comunque non impedì di far nascere insediamenti fortificati di ridotte dimensioni con forma circolare. Del resto erano ben lontani i tempi dell’esplosione demografica e economica che investì Siena nel XIII secolo, costringendola ad ingenti spese per il reperimento di nuovi approvvigionamenti idrici. Fu dunque la facile difendibilità del luogo ad attrarre i primi abitanti di questi luoghi, nonostante la carenza d’acqua, che comunque, alle origini, non doveva rappresentare un grosso problema per un insediamento di modesta grandezza.
Tuttavia vogliamo dimostrare, seguendo un’interessante teoria proposta dall’architetto Brogi, che la scelta della posizione dell’agglomerato urbano e il suo sviluppo non fu, come logico, del tutto indipendente dall’ubicazione di zone che funzionavano da collettori per le acque piovane. Del resto, almeno per quanto riguarda i nuclei abitativi originari, “la forma è dapprima imposta alla società dal di fuori, e da essa accettata come dato di fatto” e successivamente modificata e “razionalizzata” per le diverse esigenze della comunità. Ciò che vogliamo indagare è proprio questo sviluppo spontaneo, che tuttavia risulta obbligato da leggi, come dire, “morfologiche e geologiche”, che delineano i tratti della “città naturale” . E’ noto che i primi spostamenti avvenivano lungo itinerari che seguivano il percorso dei fiumi, dei torrenti e dei fossi, non solo perché vi si poteva reperire l’acqua, ma anche perché più agevoli e comodi per transitarvi. Proprio per queste ragioni, quando il territorio non presentava zone pianeggianti, si preferiva camminare lungo i fossi, tra collina e collina, anch’essi luoghi di raccolta e scorrimento dell’acqua che scendeva dalle pendici delle alture. Quando si decideva di fermarsi, allora si incominciava a salire lungo i crinali, raggiungendo zone con ampia visuale per controllare il territorio circostante e difendersi così, grazie anche all’ausilio di palizzate di protezione, dagli attacchi nemici. Già da questa descrizione circa le modalità di migrazione è facile accorgersi come “i primi canali di raccolta delle acque coincisero con le strade tracciate per raggiungere i luoghi di insediamento” . Un simile sistema viario consentiva, nel modo più breve, soprattutto dai punti di sella, il raggiungimento della sommità delle colline, che, nel caso di Siena, sono aggregate in una sorta di altopiano collinare, costituendo di fatto il primo percorso che dal fondo valle mise in collegamento i vari rilievi. L’importanza di questi tragitti fu determinata dalla minor pendenza e quindi dalla più facile percorribilità per gli uomini e gli animali, oltre che dall’essere, in forte carenza di acqua, l’unico luogo in cui era possibile ricavare in derivazione fonti e cisterne. Seguendo questo tipo di ragionamento si vede come le linee di crinale, o di cresta, che costituiscono il principale sistema di strade della città, ancor oggi ben riscontrabile nella caratteristica forma a “Y”, “assumono un’importanza secondaria rispetto alle linee di erosione [identificabili con i percorsi lungo i quali sono salite le più antiche strade di Siena], poiché su quelle non potevano esistere fonti o altri luoghi di facile approvvigionamento idrico” . Va inoltre notato come, nel contesto orografico di Siena, le tre principali linee di crinale e quelle di erosione, o di fondovalle, convergano in un punto identificabile con l’attuale Piazza Tolomei, partendo dai fossi di Fontebranda, Follonica, Porta Giustizia. Per una più facile comprensione del fenomeno di inurbamento rimandiamo ad una serie di immagini che ne mostrano lo svolgimento.

Immagine1Figura 1. La linea di crinale e quella di erosione scavate dai continui passaggi. ( Arch. A. Brogi)

immagine2Figura 2. Le sommità, deforestate, vengono recintate. Si notino le cisterne d’acqua dentro e fuori l’agglomerato urbano. (Arch. A. Brogi).

Immagine3Figura 3. All’interno delle palizzate nasce il nucleo abitativo ( Arch. A. Brogi)

Immagine4Figura 4. Sulle sommità limitrofe sorgono agglomerati urbani con caratteristiche simili.

Immagine5Figura 5. Mano a mano i “borghi” aumentano fino a costituirsi in un unico centro urbano.

Questo modello di sviluppo aggregativo urbano si origina in tempi per così dire “predocumentari”, la cui verifica è comunque confortata da alcuni studi archeologici che rivelano insediamenti umani strutturati secondo quanto descritto già mille anni prima di Cristo. Nuclei abitativi di questo tipo sono stati rinvenuti sul crinale della collina sul lato ovest della vallata di Ampugnano, presso quella zona definita nella toponomastica, evidentemente non a caso, “Siena Vecchia“.

Le origini della ‘Siena Vecchia’

Anche se vi si rilevano solo poche tracce, peraltro nascoste dalla fitta boscaglia, il Prof. E. Mazzeschi (che ha curato gli scavi archeologici) ha potuto tracciare i tratti caratteristici di questi insediamenti, definiti “castellieri“, costituiti da una o più muraglie concentrate, formate con pietre accatastate che in alcuni casi raggiungevano i tre metri di spessore, sovrastanti, in questo caso, la vallata del torrente Rosia.

Il nostro tentativo di sottolineare il duplice ruolo avuto dalle strade quali collettori d’acqua e vie di transito, condizionanti lo sviluppo planimetrico della città di Siena, non sarebbe comunque ancora chiaro se non ci riferissimo all’esempio di Roselle, una tra le città più importanti dell’Etruria settentrionale, a 9 Km da Grosseto. Importante centro etrusco, costruito su due colline che dominavano l’antico lago di Prile e la valle d’Ombrone, importanti vie d’acqua verso Chiusi, Murlo e Siena, nel 294 a.C. fu conquistata e sottoposta a Roma, di cui divenne colonia, perdendo con l’autonomia anche l’importanza politica e strategica, venendo relegata al ruolo di “castrum“. Tuttavia proprio queste sfortunate vicende storiche hanno consentito a Roselle di tramandarci i resti, pressoché originari, della cittadina etrusca, che ci restituisce confortanti prove circa le linee direttrici di sviluppo urbano e il relativo rapporto tra strade e luoghi di raccolta delle acque. Nel VIII sec. a.C. le due colline su cui oggi sorge Roselle avevano ancora cinte murarie separate e al centro, lungo i fossi che le dividevano, salivano le strade che dal fondo valle procedevano verso il centro dell’agglomerato, dove i Romani edificarono il Foro ed altri importanti edifici.

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Esempi di strade che dai fondo valle risalgono verso la città. A sinistra: Siena, Valle di Porta Giustizia. A destra: resti archeologici della città di Roselle (GR).

Basta un sopralluogo per accorgersi di come questi percorsi incontrassero le opere idrauliche, denunciando il legame con esse. Si scorgono pozzi raccordati alle condotte poste ai bordi, dove l’acqua defluiva – grazie alla pavimentazione stradale – in doccioni di marmo che scaricavano nelle cisterne, come ad esempio quella di origine romana, la più rilevante; oppure le stesse strade di crinale che fungevano da collettori d’acqua, visti i numerosi pozzetti presenti nella zona alta della collina, dove sonopresenti le più antiche strutture della città.

Immagine8 Roselle. Canale di raccolta delle acque piovane posto ai margini di una strada.

Immagine9 Roselle. Canaletta di scolo di acqua piovana, riversata su una cisterna interrata.

Immagine6Una riproduzione di un castelliere del Prof. Mazzeschi.

Immagine11Un’immagine aerea di Monteriggioni.

Immagine12Estratto di veduta aerea della città di Siena: molti i tratti di murature ‘curve’.

Immagine13Forme circolari nel centro storico di Siena. Si intravedono le “impronte” dei primi nuclei urbani.

Quanto detto ci aiuta a capire come la possibilità di captazione dell’acqua sia stata fondamentale per la nascita di nuovi centri urbani dettando di fatto “il modulo capace di riprodurne i nuclei abitativi, fino a tesserne la trama”.

L’antico sigillo di Siena

Probabilmente anche l’antico castrum Senae, riferibile al sito di Castelvecchio, era simile ad un “castelliere”, costruzione, come ricordato, di forma circolare, situato su un poggio, alle cui pendici era possibile trovare risorse d’acqua per la vita quotidiana. Non stupisce affatto dunque la presenza, in zona, della piccola fonte chiamata Fontanella, di chiara origine etrusca, data la tipica volta a capanna, che ne caratterizza il “canale sotterraneo” per l’approvvigionamento idrico, o, sempre nelle vicinanze, la Fonte della Vetrice, oggi scomparsa, ma che Girolamo Macchi descriveva “ai piedi il Poggio Cardinale,[…], nel piano di Fontebranda” . Nel 913 sui documenti appare la menzione della domum episcopio senense e della sedes Beate Marie, indicando dunque uno spostamento ed un ampliamento dell’area culturale verso quella zona della città denominata “Castelnuovo”, sicuramente munita come il primo castrum di difese murarie almeno già dal 1012. L’aggregazione dei due castelli delinea la caratteristica forma “a farfalla” ravvisata dal Gallaccini (vedi tav. 1), dovuta anche all’accostamento di numerosi altri insediamenti, “sgranati sulle creste in corrispondenza delle sedi pianeggianti e conchiusi ciascuno entro forme murarie difensive tondeggianti, secondo configurazioni tuttora pienamente verificabili in alcune località del senese come Monteriggioni, Sovicille, Belcaro, Murlo” . La circolarità di numerosi percorsi viari attuali che costeggiano edifici ad andamento curvilineo accredita l’ipotesi che proprio insediamenti di matrice circolare siano la generatrice primaria del tessuto urbano senese, ossia traccino quelle che, con buona intuizione dell’Arch. Brogi, sono state definite le “impronte di città”. Il continuo proliferare lungo la linea di crinale ha suggerito la rappresentazione visiva della tavola 3, in cui si mostra l’inscindibile rapporto con le fonti di captazione idrica, situate, guarda caso, per lo più, presso i fossi che delimitano le linee di erosione delle colline (ad esempio il Fosso d’Ovile nelle cui vicinanze abbiamo ben due Fonti, Fonte d’Ovile e Fonte Nuova d’Ovile). Una quindicina sono i luoghi a cui si posso rapportare caratteristiche di questo tipo, fra cui la zona di S. Maurizio presso il Ponte di Romana, quella nelle vicinanze di Rocca Salimbeni, vicino al Rettorato dell’Università, o intorno S.Martino ad esempio, in cui accade persino di intravedere testimonianze, anche se interrotte, delle antiche strade di crinale, come il Vicolo degli Orefici, che ne conserva un breve tratto, disperdendosi poi presso alcune corti, come il Chiostro della chiesa di S. Martino, il cortile del Palazzo Piccolomini, fino a confondersi in Piazza del Campo, lungo la facciata convessa del Palazzo Chigi. E’ dalla seconda metà dell’XI secolo che, accanto ai castelli, si incominciano ad indicare nei documenti i borghi, come quelli di Camollia (1075), e di San Cristoforo, fortificati o racchiusi entro palizzate lignee, di cui una memoria figurativa è possibile riscontrarla nel “Guidoriccio”, affresco del Trecento, nella Sala denominata “Del Mappamondo”, all’interno del Palazzo Pubblico di Siena. A differenza dei castelli, le strutture dei borghi erano strutturalmente più flessibili, e proprio “il loro proliferare e il loro incunearsi fra i castelli è l’elemento coesivo generatore dell’attuale aspetto urbano di Siena” . Sta di fatto che già alla fine dell’XI secolo, nel 1071, compare per la prima volta nella documentazione a noi pervenuta il nome di Siena al plurale, anziché al singolare: “con tutta evidenza ciò significa che in qualche modo si prende atto dell’esistenza di una nuova Siena, o di più nuove Siene, contrapposte all’antico nucleo”. Un sigillo attribuito ai primi del Duecento, ma probabile rifacimento di uno più antico, (fig.13) è la prima immagine che abbiamo della città. Di forma rotonda e circondato dalla scritta “vos veteris sene signum noscatis amene” (cioè “conoscete il segno dell’amena antica Siena”), rappresenta, in modo simbolico ma con tratti emblematici e crediamo realistici, l’aspetto della città senese intorno al Mille. Una alta cinta di mura merlate, con tre alte torri, racchiude un raggruppamento di edifici, apparentemente case-torri, isolate una dall’altra, costruite in conci di pietra. Questo non può non richiamare quanto detto circa le caratteristiche dei “castellieri”, primi nuclei abitati della zona , avvalorando ancora di più le ipotesi fatte sugli antichi insediamenti.

Immagine16bisDunque le progressive saldature di nuclei contigui, il conseguente venir meno della funzione difensiva delle primitive strutture murarie dei castelli e la loro integrazione nel tessuto abitativo inducono, intorno al X-XI sec., alla costruzione della prima cinta muraria, a cui nel corso dei secoli si aggiungeranno i successivi sviluppi, fino agli inizi del XV sec., quando se ne completerà l’ampliamento nella forma attuale.

L’importanza di esempi etruschi

Una simile imponente opera non poteva prescindere dal corretto coordinamento di una fase di progettazione, realizzazione, uso, e manutenzione di un opera, che come già detto, svolse la sua funzione fino ai primi del Novecento, allorché non fu costruito il “moderno” Acquedotto del Vivo (1914-1919). Rimane comunque innegabile l’importanza degli esempi etruschi, tutt’oggi riscontrabili in molte zone dell’alto Lazio. La perizia degli ingegneri etruschi nell’individuare le vene d’acqua, nel captarle e nel canalizzare le acque di superficie si mostra con grande evidenza nella sistemazione e bonifica del territorio dell’Etruria. E’ noto come la fonte di sussistenza di queste zone, in età antica, oltre all’agricoltura, fosse lo sfruttamento dei giacimenti metalliferi e il loro conseguente commercio. E’ dunque da una serie di competenze ben sperimentate e dalla necessità di lavorare la terra che scaturì l’esigenza degli aquilices non solo di individuare falde freatiche e aprire pozzi, ma anche quella di avere competenze circa la conduzione dell’acqua in zone poco irrigate, oppure riguardo al drenaggio della terra in zone particolarmente umide, attingendo a quelle professionalità tecniche che li indussero a costruire una serie di cunicoli sotterranei scavati nel tufo, ben visibili in diverse località dell’Etruria e del Lazio. Gli studiosi sono ancora incerti circa l’effettivo utilizzo che di essi se ne faceva. C’è chi propende per l’idea che servissero esclusivamente per la bonifica agricola del territorio, per evitare ambienti eccessivamente acquitrinosi che favorissero lo sviluppo della malaria. Altri pensano che fossero sistemi di irrigazione dei campi, e fossero utilizzati per lo più per usi agrari. Oggi si propende a credere che questi cunicoli svolgessero come primaria la funzione di conduttura di acqua potabile e come secondaria quella di drenaggio, di captazione delle sorgenti perenni, di derivazione d’acqua da rivi o fiumi, forse per uso irriguo. Il Casoria individua una vasta gamma di utilizzazioni dei cunicoli che va da quella fondamentale del drenaggio dei terreni, a quella del trasporto di acqua per l’irrigazione, alla deviazione di corsi d’acqua nella realizzazione di importanti arterie (vedi in proposito T.W. Potter, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale, Roma, 1985: “si creano cunicoli per deviare corsi d’acqua e agevolare il passaggio delle valli”), allo scolo e alla raccolta di acque nei contesti urbani, alla “funzione di veri e propri acquedotti per fornire di acqua taluni insediamenti” . Ecco il punto, ecco il trait-d’union con i bottini senesi. La datazione di questi cunicoli etruschi è rapportabile al V secolo a.C., anche se l’inquadramento cronologico assoluto è difficile da stabilire, mancando elementi che possano legare queste costruzioni con lo sviluppo urbanistico di una particolare città. Alcuni studiosi anticipano il periodo anche tra l’VIII ed il V secolo, legando le opere di canalizzazione alla presenza di insediamenti stabili di una popolazione impegnata in una attività agricola.

Sebbene le prime comunità protourbane si affermino intorno al IX secolo a. C., la sofisticatezza delle opere di scavo sembra piuttosto riferibile ad un momento nel quale la comunità ha preso piena coscienza di sé ed ha disposizione mezzi e tecniche per procedere in un lavoro che dovette richiedere necessariamente la presenza di una struttura urbana ben organizzata. Questa situazione sarebbe riscontrabile nel IV secolo avanti Cristo. A favorire e quasi suggerire lo scavo dei canali sotterranei è stata certamente la natura del suolo, che non opponeva grandi resistenze. Forti sono le analogie con i bottini senesi. Non solo si costruiscono a metà di due strati geologici di cui uno permeabile (arenarie o tufo che sia), per l’infiltrazione dell’acqua, e uno impermeabile (argilla) che fungesse da collettore, determinando il limite inferiore che gli operai dovevano seguire nello scavo. Anche le caratteristiche delle dimensioni sono pressoché identiche: si presentano tutte a sezione ogivale di 1.70 m circa di altezza per 60 cm di larghezza. Le pareti interne recano tutt’oggi segni di lavorazione, il cui andamento arcuato suggerisce che lo strumento utilizzato sia stato usato in modo oscillante ed abbia avuto una lama piuttosto appuntita. Negli stessi tratti nei bottini senesi sono ben visibili questi segni, causati dagli strumenti dell’epoca, zapponi, picconi a una o due punte, pale, palette, ascioni. Nei terreni più duri si ricorreva anche a paletti di ferro, mazze, mazzapicchi da pietra e lunghi scalpelli, tali comunque da essere ben maneggevoli pur nelle limitate condizioni di spazio in cui ci si trovava. Nei territori dell’Etruria si trovano pozzi verticali che arrivano, in casi eccezionali, anche a 30 m di profondità, utili per arrivare a scavare il cunicolo. Sui lati lunghi si trovano delle nicchie identificate come punti di appoggio per la discesa, poste ad una distanza fra loro di 50 cm ca. Tali pozzi sono posti a 30-60 metri l’uno dall’altro. Anche qui si trova una sconcertante quanto evidente analogia con gli “smiragli” delle condotte senesi, ricalcandone anche la funzione, quale vie di uscite per il materiale di sterro, forse tirato fuori per mezzo di funi o passato a mano con dei cesti. Per quanto riguarda le strutture senesi è certo anche che i pozzi servissero come controllo “a vista” per verificare la giusta direzione di scavo e ridurre al minimo l’entità dell’errore (inevitabile). Come ci dimostrano alcuni disegni di Mariano di Iacopo detto il Taccola (1381-1458?), nel Trecento si pose grande attenzione nello studio della costruzione di queste gallerie per la canalizzazione delle acque.

Siena città etrusca

E’ data per certa l’origine etrusca di Siena, il cui nome, deriverebbe proprio da quello della famiglia “Saina”, i cui possedimenti sono documentati nella non lontana, e allora assai più importante, Chiusi, mentre dei “Seina” sono ricordati a Montalcino, Chiusi, Perugia. Come noto il popolo etrusco era particolarmente abile nella costruzione di opere idrauliche, fossero esse state canalizzazioni per acque destinate all’irrigazione nei campi, sistemi di drenaggio o, addirittura, la costituzione di impianti portuali. Si vedrà che è proprio da queste fondamentali esperienze che la Repubblica di Siena riuscirà a vincere la propria battaglia personale alla ricerca di fonti idriche per la propria prosperità. Proprio presso la zona di S. Marco, nei pressi di quello comunemente riconosciuto come il nucleo primitivo di Castelvecchio, si registra la più massiccia presenza di rinvenimenti archeologici etruschi, con la scoperta di una necropoli, risalente al IV-II sec. a. C., dalla quale proverrebbero ceramiche a vernice nera, figurate, oreficerie e urne cinerarie, oggi custodite al Museo Archeologico di Siena. Nell’immagine di seguito viene mostrata la distribuzione dei rinvenimenti rispetto allo sviluppo urbanistico medievale.

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